Mi sembra di vedere i pregiudizi organizzarsi nella tua mente come una battaglione d’assalto dopo aver letto il titolo. È meglio fare qualche premessa, altrimenti potresti pensare che questo sia un articolo politico. Anche se, ammettiamolo, lo è.
La nostra è l’epoca della disuguaglianza, è un fatto incontestabile. Le differenze di classe sono diventate estreme, grottesche. L’1% dell’umanità vive in un Olimpo irraggiungibile grazie allo sfruttamento del pianeta e del resto dell’umanità. L’ascensore sociale è fuori servizio da almeno trent’anni.
Aggiungerei che questa è anche l’epoca della stupidità funzionale, nella magnifica definizione che ne danno Alvesson e Spicer: «la tendenza a ridurre l’ampiezza del proprio pensiero focalizzandosi solo sugli aspetti tecnici del lavoro. Il lavoro lo svolgi bene, ma senza riflettere sullo scopo o il contesto più ampio. È un tentativo organizzato di impedire alle persone di pensare sul serio a cosa stanno facendo quando lavorano. Quando le persone sono colte da stupidità funzionale, sono in grado di svolgere il loro compito, ma smettono di fare domande». Le domande sono pericolose, specialmente quando le risposte sono ontologiche, per cui da oltre cinquant’anni il sistema fagocita persone intelligenti trasformandole in stupidi funzionali. Come? Premiando l’assenza di riflessione critica e valorizzando la codardia e l’obbedienza. Chiunque abbia lavorato in un ufficio sa che è così.
In questo scenario desolante si è fatta strada, in particolare negli ultimi decenni, una delle credenze più diffuse e pericolose della nostra epoca e cioè che le persone che hanno successo economico siano migliori, più creative, più intelligenti, più talentuose e più competenti di noi. Degli eroi, insomma.
La narrazione contemporanea del successo delle aziende tecnologiche ha aiutato questa distorsione a diffondersi. Ogni generazione ha avuto almeno un “Tony Stark” che ha acceso la fantasia delle menti semplici. Un po’ più difficile, per l’uomo comune, esaltarsi per l’industria tradizionale vero? Chissà se esiste l’Elon Musk della siderurgia, per fare un esempio. Non lo sapremo mai.
La realtà è che queste persone una cosa che io e te non abbiamo ce l’hanno eccome. La fortuna. Una sfacciata, gigantesca, ridicola fortuna. Quel tipo di fortuna che hanno una ventina di Gastoni contro otto miliardi di Paperini. Se aggiungi un vagone di fortuna a un po’ di competenza, si genera quasi sempre un’opportunità. Dimentica la favola del duro lavoro che garantisce il successo, è una trappola. Non c’è alcuna garanzia. Soprattutto se la misura del tuo successo come essere umano è un costrutto sociale come il denaro. I miliardi di Paperini credono tutti, ingenuamente, di giocare nello stesso campo e con le stesse regole di Gastone.
Basta fermarsi un momento a pensare a un tipico bias cognitivo di cui tutti siamo vittime. Noi crediamo che siano gli attributi personali a determinare il successo o il fallimento di una decisione, non il contesto. Ovviamente ciò vale solo quando giudichiamo gli altri: se noi siamo sfigati è colpa dell’universo mentre se il rampollo viziato di un miliardario ha successo, è perché è un genio. Viceversa se una persona “fallisce” secondo i parametri della nostra società disfunzionale, è sicuramente sfaticata, indolente, e, infondo, se lo è meritato (pensa, per esempio, al disgustoso dibattito politico italiano sul tema del reddito di cittadinanza). La valutazione della qualità di una decisione la facciamo a posteriori, in funzione del risultato, al posto di analizzarla nel momento in cui è presa. Per questo alcuni imbecilli super-fortunati diventano modelli di comportamento per l’umanità, diventano “saggi” e noi, che vorremmo essere al loro posto, gli concediamo di stuprare il pianeta. Chiaramente anche l’imbecille fortunato è soggetto allo stesso bias, per cui valuterà a posteriori il successo delle sue decisioni come conseguenza dei suoi attributi personali, e i suoi fallimenti come conseguenze del contesto. E il suo ego crescerà come panna montata. Purtroppo questo vale anche per le truppe di quasi-ricchi provinciali che incontri in un ufficio, o per certi parassiti che vedi berciare in Parlamento.
Siamo messi male. Sì, perché oggi il mondo è nelle mani di una manciata di narcisisti maligni. In questo tipo di narcisismo l’egocentrismo ha anche un lato oscuro, altamente manipolatorio. Hanno tratti antisociali e persino sadici. Sono indifferenti alla sofferenza che provocano con le loro azioni. Come dice Eric Fromm: «Se sono “grande” per qualche qualità che ho, e non per qualcosa che ho realizzato, non ho bisogno di essere in relazione con qualcuno o qualcosa; non ho bisogno di fare alcuno sforzo. Mantenendo l’immagine della mia grandezza mi allontano sempre di più dalla realtà e devo aumentare la carica narcisistica per essere più protetto dal pericolo che il mio ego gonfiato narcisisticamente possa rivelarsi come il prodotto della mia vuota immaginazione. Il narcisismo maligno, quindi, non è autolimitante e di conseguenza è crudamente solipsistico e xenofobo». Questa descrizione ti ricorda per caso qualche giga-capitalista contemporaneo? Oppure, che so, il CEO della tua azienda? O, più miseramente, un “influencer” a caso?
Ti voglio lasciare con due spunti di approfondimento, utili anche se non ti fidi delle mie farneticazioni. Chissà, magari sono un comunista che sta tentando di corromperti.
Il ruolo dominante della fortuna nel successo e nel fallimento l’hanno studiato (scientificamente) Alessandro Pluchino, Alessio Emanuele Biondo e Andrea Rapisarda in un loro paper: “Talent vs Luck: the role of randomness in success and failure” nel quale, tra le altre cose, emerge il concetto illuminante di meritocrazia ingenua.
Il mito dell’imprenditore che si è fatto da solo è una stupidaggine. Questo non significa che non ne esistano, tra i piccoli e i medi. Ma se scavi nelle storie personali dei miliardari, quelli che hanno vinto alla lotteria capitalistica globale, scoprirai che la fortuna, per gran parte di loro, è stata la ricchezza familiare. I nuovi capitalisti tecnologico/digitali sono, diciamo, di prima generazione, ma il controllo della ricchezza è dinastico, oligarchico. Uno studio americano del 2021 mostra come una cinquantina di famiglie controllino da generazioni una quantità impressionante di ricchezza e potere, usati per influenzare le istituzioni democratiche e manipolare le regole per consolidare ulteriormente la disuguaglianza.
Bella la società in cui viviamo, eh?
Crediti: foto di Ryan Vaarsi. Nella foto si può leggere su un muro un manifesto che recita la frase: «Curb your ego» (frena, o controlla, il tuo ego), insieme all’immagine di una persona che raccoglie da terra un escremento con la paletta. Gli artisti di strada di New York hanno tratto spunto dal cartello ufficiale che recita: «Curb your dog», in riferimento all’obbligo di raccogliere gli escrementi del proprio cane. Una metafora molto appropriata.