Copertina del libro People Matter di Marco Bertoni

La discriminazione generazionale

Scritto il

da

/ Categorie:

Ho deciso di scrivere una serie di brevi articoli che raccontano il contenuto di alcuni capitoli del mio libro. Ecco il secondo.

Nel primo articolo raccontavo la relativa difficoltà che ho avuto nello scegliere una traduzione soddisfacente per la frase wicked problems. Ho avuto un problema simile con il termine ageism, dato che questa parola inglese non ha una traduzione soddisfacente in italiano, e io mi rifiuto di usare l’orrenda italianizzazione “ageismo” (non viene anche a te un brivido nella schiena leggendola?). Così ho scelto di lasciarla in inglese. A volte è più intelligente dichiarare la propria sconfitta lessicale, piuttosto di affidarsi a neologismi raccapriccianti.

Ma cos’è l’ageism? Significa discriminazione sulla base dell’età, o generazionale. Nel mondo del lavoro se ne parla quasi sempre in riferimento alle persone ultracinquantenni ma anche i giovani la subiscono. In azienda, a vent’anni sei praticamente trasparente, vali meno di un soprammobile, mentre dopo i cinquanta diventi radioattivo e ti devono smaltire. L’ageism è sicuramente una delle discriminazioni più democratiche. Tutti ne siamo stati o ne saremo vittime e tutti abbiamo interiorizzato questi stereotipi. Per questo è anche una delle più stupide: quando contribuisci a questo sistema stai programmando la tua stessa futura discriminazione.

Come tutte le discriminazioni, nasce da pregiudizi e da stereotipi che, in ultima analisi, derivano dalla eccessiva semplificazione del mondo. Considerare l’anno di nascita come un elemento sufficiente a definire l’identità di una persona è un grave errore. Ciò che accomuna le persone non è l’età ma sono le esperienze, i valori, gli interessi e la cultura. Le variabili che determinano giorno per giorno e anno per anno l’evoluzione della nostra identità sono talmente tante che quando si attribuiscono idee e comportamenti omologhi a generalizzazioni grossolane come i giovani o i vecchi, o si usano etichette sociologiche come boomers, generazione X, millennials, generazione Z, ecc., mi scappa da ridere.

Il capitolo parte da queste considerazioni per sfatare la mitologia del vecchio inutile, del gray tsunami, e della nostra paura di invecchiare, alimentata da una società ultra-competitiva nella quale essere giovani è obbligatorio e in cui domina la patologizzazione.