La formazione aziendale decente

Scritto il

e aggiornato il 25 Maggio 2023

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Alzi la mano chi ha provato almeno una volta nella vita la tortura di una videolezione in e-learning. Magari uno di quei corsi aziendali obbligatori erogati su piattaforme digitali imbarazzanti con video registrati nel secolo scorso da attori che parlano come le sintesi vocali delle Ferrovie Dello Stato. Quanto è facile, se si possiede almeno un’intelligenza media, barare nei test a risposta multipla posti tra un video e l’altro? Questa non è formazione è autolesionismo.

Si ripete, nel digitale, la stessa logica piramidale e monodirezionale della formazione tradizionale, per esempio quella universitaria. Non c’è collaborazione ma una diffusione memetica di informazioni uguali per tutti. Ma noi non siamo tutti uguali.

C’è un bel libro pubblicato da Carocci nel 2005 a cura di Valerio Eletti che racconta molto bene le peculiarità dell’e-learning e contiene una sintesi delle teorie alla base dell’apprendimento. Per esempio elenca le differenze tra andragogia (insegnare a un adulto) e pedagogia (insegnare a un bambino). La mia sensazione è che la formazione per gli adulti sia progettata da persone che pensano di fare pedagogia.

Da un lato ci sono il vecchio modello docente/discente, basato sul controllo, oppure l’autoapprendimento passivo, basato su materiali preconfezionati, nei quali è la certificazione dell’esecuzione del compito a contare e non la qualità dell’apprendimento. Dall’altro c’è l’apprendimento collaborativo, interattivo e dinamico.

Che cosa significa apprendimento collaborativo?

L’apprendimento collaborativo, secondo Anthony Kaye, prescrive che gli individui lavorino e interagiscano per conseguire l’obiettivo comune di acquisizione della conoscenza. L’apprendimento individuale è, quindi, il risultato di un processo di gruppo.

Chiamiamolo peer learning che fa fico. Quello di cui parlo è uno scenario in cui è realizzato l’insegnamento tra pari a partire da una competenza di base comune e un obiettivo condiviso, in una dinamica di feedback continuo. L’opposto di un dipendente solitario che assorbe passivamente nozioni da pacchetti preconfezionati scelti in un catalogo da supermercato.

Le piattaforme per la collaborazione digitale che abbiamo già a disposizione oggi (non solo quelle di e-learning, monolitiche e noiose, ma gli strumenti per il co-design come Miro, per esempio) rendono questo approccio possibile anche nella formazione a distanza. Figuriamoci, poi, se immaginiamo il prossimo futuro in cui la formazione potrà avvenire attraverso tecnologie immersive.

Ma come fare in modo che siano le persone, il gruppo dei pari, a strutturare la propria formazione?

Su questo tema io sono radicale. L’azienda stessa deve essere la learning company e, insieme ai gruppi di lavoro, che sono direttamente coinvolti in tutte le attività di progettazione, deve fungere anche da content provider. Se non ci sono competenze interne, è accettabile che la multimedia agency (l’azienda che realizza grafica e software dei corsi) sia esterna. Ma la strategia formativa, le attività di progettazione, i learning objects, e tutto il resto, devono essere prodotti internamente, esponendoli in un marketplace digitale accessibile a tutti (ne parlerò dopo).

Per attivare i dipendenti, e far emergere la conoscenza nascosta, quale strategia migliore del coinvolgere direttamente le persone nella progettazione della loro crescita?

Ovviamente è sempre possibile acquistare pacchetti formativi da content provider esterni, per esempio le università o le società di consulenza, se non si hanno le competenze interne. L’università o, più estesamente, le istituzioni formative tradizionali, sono perfette per fornire contenuti umanistici e approfondimenti teorici autorevoli (che sono importantissimi per sviluppare competenze trasversali), ma certi docenti universitari, e le loro pretenziose aziende di consulenza, non mi hanno mai convinto.

Come creare un sistema che consenta alle persone di costruire autonomamente il loro percorso?

Un modello “organico”

Beh, innanzitutto devo dirti che, per deformazione professionale, qualsiasi cosa io pensi la immagino implementata in una piattaforma software, magari corredata di quel po’ di intelligenza sufficiente a rendere la tua esperienza più interessante e fluida.
In questo caso però è anche necessario un cambio di paradigma. Quando pensiamo alla formazione, per tradizione, ci immaginiamo un percorso verticale: si parte da zero si termina con un certificato. Un insieme di competenze in un singolo dominio definiscono la nostra identità professionale.

Chi pensa che questa idea di crescita personale verticale sia adatta al mondo contemporaneo secondo me sbaglia.

Oggi, qualsiasi sia il tuo lavoro, è necessario imparare a gestire la complessità. Una competenza verticale pura, da knowledge worker degli anni Settanta per capirci, è insufficiente. Non mi riferisco solo al possesso di competenze appartenenti a domini tecnici differenti dal proprio, ma anche a competenze culturali e umanistiche.

Il punto è che un sistema che si ponga lo scopo di rendere autonomo il dipendente nella progettazione del suo percorso di crescita deve lavorare almeno su due dimensioni, una verticale e una orizzontale. E io credo che quella orizzontale sia la più importante.

Immagino una piattaforma in cui una persona possa mappare le proprie competenze e ricevere un’analisi del suo stato di crescita sulla dimensione verticale e su quella orizzontale. Il sistema potrebbe anche suggerire percorsi basandosi sulle scelte effettuate. Per poter funzionare dovrebbe attingere a un database in cui sono classificate tutte le possibili competenze acquisibili in quel contesto. La mia idea di classificazione è basata su una metafora biologica e su una matrice di esempio che ho creato rispetto alle professionalità di design grafico e user experience (i codici che vedrete nella tabella seguente fanno riferimento a quella matrice):

Tipo di learning objectDescrizioneEsempio
ATOMOUna singola conoscenza autoconsistente.USR-004: Sa registrare nel modo corretto ogni osservazione che fa sul campo.
MOLECOLAUna serie di conoscenze (atomi) correlate.VID-001: Conosce e sa usare i principi fondamentali del visual design per organizzare un’interfaccia utente (web, mobile, software).
VID-002: Sa scegliere la corretta tipografia: font e typeface.
VID-003: Sa disporre gli elementi e i design pattern in pagine o schermate.
VID-004: Sa scegliere palette di colori.
CELLULAUn insieme di conoscenze (molecole) complesso e autoconsistente.IND-004: Conosce e sa applicare i principi Lean e in particolare il Lean Product Development.
ORGANOUn insieme di insiemi di conoscenze (cellule), non sufficienti a certificare una data professionalità (organismo) ma sufficienti per svolgere una specifica attività complessa.IND-006: Conosce e sa applicare l’approccio e le tecniche dello Human-centered design
IND-007: Conosce e sa applicare l’approccio e le tecniche di Design Thinking
ORGANISMOLa somma delle conoscenze che determinano una data professionalità a un dato livello di seniority.UX RESEARCHER ENTRY-LEVEL
Codici competenze necessarie: USR-001 USR-002 USR-003 USR-004 USR-005 USE-001 USE-002 LEA-001 USR-011
Tabella dei learning object organici

Ora immaginiamo che una persona sia a un buon livello rispetto alla sua dimensione verticale principale, per esempio uno UX Researcher Senior-level all’80%, ma desideri acquisire una competenza orizzontale che gli serve, magari un atomo in un altro dominio. Il sistema dovrebbe garantire la possibilità di scegliere questa competenza dal database e mostrare la disponibilità di formazione per quell’atomo. Una volta terminata la formazione la persona acquisirà una percentuale, magari l’1%, della dimensione verticale associata a quel dato atomo.

Le persone, letteralmente, possono comporre i learning object organici per progettare il proprio percorso di crescita in maniera verticale e orizzontale e il sistema imparerà nel tempo a proporre suggerimenti e soluzioni personalizzate.

La natura modulare facilita l’aggiornamento. Atomi, molecole, cellule e organi si prestano molto bene all’acquisizione di competenze orizzontali a diversi livelli di complessità. La complessità determinerà la durata dei moduli didattici e la scelta delle modalità di erogazione (completamente online, ibrido ecc.) oltre alla produzione dei materiali didattici più adatti. Per esempio potrebbero esserci atomi che si risolvono in una sessione di un’ora in videoconferenza, o con un video preregistrato. Mentre al crescere della complessità dell’obiettivo formativo cresce anche la complessità logistica e la necessità di affrontare i limiti della formazione a distanza.

Ma come stimolare la partecipazione?

Un marketplace per la collaborazione

Per creare un contesto in cui stimolare la collaborazione insieme all’emersione delle competenze nascoste, si può immaginare un marketplace gestito attraverso un sistema di gamification.

In questo mercato della formazione i learning objects: atomi, molecole, cellule e organi in catalogo sarebbero proposti alle persone in uno spazio digitale condiviso. Le persone possono scegliere di partecipare alla gamification rendendo disponibili agli altri una o più delle loro competenze: in altre parole per ricevere punti devi diventare formatore anche tu. Chiaramente devono essere previsti dei premi. I learning objects che pubblichi per avere punti non sono riutilizzabili. Le competenze più complesse avranno un valore di scambio ovviamente più alto: se pubblico un atomo, avrò pochi punti, se pubblico un organo ne avrò di più. Si può correlare a questo anche un indice di gradimento: se molte persone usano i miei learning objects acquisto punti, ecc.

Qualsiasi competenza vale per lo scambio. Nel marketplace non ci dovrebbero essere solo competenze tecniche ma anche legate alle passioni e alla cultura.
Se, per esempio, sei un mago dei videogiochi potresti mettere sul mercato questa competenza e usarla per acquistare punti con un corso su “come assemblare un PC per il gaming con meno di duemila euro”. Lo stesso se sei un appassionato di filosofia e decidi di proporre il seminario: “filosofia della mente for dummies”. O se sei brava a parlare in pubblico e offri una serie di corsi sulle “tecniche di public speaking”. E così via.

Sarebbe bello, eh? Ma forse ho troppa fiducia nell’umanità.