Il libro è finalmente acquistabile su Amazon, tuttavia ho deciso di proseguire con questa serie di articoli che ne raccontano i contenuti.
Di cosa siano le microaggressioni parlo nell’introduzione, anche se, come molti altri concetti, ricorre in tutto il libro.
Sono quei comportamenti automatici che sminuiscono il destinatario della comunicazione e che comunicano alla persona o al suo gruppo di riferimento offese di tipo razziale, di genere, di identità e orientamento sessuale, di credo religioso (o ateismo) e rispetto a una disabilità. Anche il contatto fisico, ovviamente, può essere una microaggressione. Mi riferisco alla tendenza che alcune persone hanno di violare lo spazio personale degli altri durante un’interazione.
Non è importante che tu non percepisca il tuo comportamento come offensivo o che le tue intenzioni siano buone, è l’effetto che i tuoi comportamenti hanno sugli altri che conta se vuoi relazionarti con loro in modo inclusivo. Questo è ciò che alcuni critici non comprendono: anche se io posso concordare sul fatto che l’ipersensibilità ad alcune parole possa essere un sottoprodotto negativo della cultura del politicamente corretto, il punto è che quel sentimento esiste e va rispettato. Certi comportamenti che hai appreso e interiorizzato nella sottocultura a cui appartieni li devi disimparare.
Il primo esempio che mi viene in mente si riferisce al contesto di lavoro, cioè al posto (fisico o virtuale) in cui siamo costretti a interagire con persone che non abbiamo scelto. Pensa a quella sorta di cameratismo maschilista e volgare tra colleghi, o alla tendenza di alcuni manager a svalutare implicitamente (verbalmente e attraverso i comportamenti) l’identità delle colleghe femmine (e, attenzione, a volte il manager è essa stessa una donna, questa è una delle conseguenze deleterie del femminismo liberale, ti suggerisco a proposito di leggere il libro Femminismo per il 99%, di Cinzia Arruzza, Tithi Bhattacharya e Nancy Fraser).
Le microaggressioni sono una diretta conseguenza dei pregiudizi che tutti (io per primo) abbiamo e tutti le agiamo e le subiamo quotidianamente. Non c’è scampo. A meno che non impariamo a gestire razionalmente il nostro registro comunicativo e comportamentale. Si può fare.