Fabrizio Gramuglio

Intervista a Fabrizio Gramuglio. Intelligenza artificiale, futuro e innovazione

Scritto il

e aggiornato il 7 Novembre 2021

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La terza intervista della serie è quella a Fabrizio Gramuglio. Fabrizio è una delle persone che stimo di più sia professionalmente sia per l’amicizia che ci lega da decenni, una delle rare persone veramente geniali che io conosca. Oggi si occupa di innovazione e sviluppo di talenti oltre ad essere imprenditore ed esperto di interfacce vocali e multimodali e intelligenza artificiale.

Da molti anni, e anche in tempi non sospetti, ti occupi di interfacce vocali, intelligenza artificiale e, in particolare, di empatia artificiale. Ci racconti la tua esperienza in questo campo e qual è la tua visione sul futuro di queste tecnologie?

La mia esperienza parte dall’essermi reso conto che la scelta dell’università fu fallimentare, e cosi decisi di cambiare direzione e passare dalla biologia all’Information Technology, per la precisione alle possibilità offerte dall’interazione uomo-macchina. Successivamente, complici una serie di fortunati eventi, finii a collaborare con il W3C in due gruppi di lavoro che si occupavano di interfacce vocali e multimodali.

All’epoca non si parlava molto di AI, le aziende erano appena uscite, debilitate, dal secondo inverno dell’AI. Fu un inverno particolarmente lungo e rigido, se si pensa ai 4 anni di insuccessi dal 1987 (LISP) al 1991 (il fallimento dei computer di quinta generazione).
Inverno che non raggiunse immediatamente l’Italia che, grazie al naturale isolamento geografico di Alpi e Mar Mediterraneo, poté continuare le sperimentazioni nel campo fino al 1999. Ma le Alpi non bastarono ad evitare che la nostra penisola venisse duramente colpita, e nel 1999 l’equivalente tecnologico del Titanic venne varato: il progetto Omnitel 2000. Per chi non se lo ricordasse questa era la presentazione del progetto (comunicato stampa del 30 Giugno 1999):

È partito OMNITEL 2000, il nuovo portale di Omnitel nato per gestire l’accesso ad una offerta di oltre 150 diversi servizi al pubblico, fruibili da qualsiasi tipo di telefono. Il portale Omnitel 2000 utilizza una piattaforma tecnologica che per la prima volta ha integrato riconoscimento vocale e ipertesto, così da rendere reale la convergenza tra telecomunicazioni, Internet e mondo dei media.

Il portale naufragò rovinosamente meno di un anno dopo, e questo ci condannò ad oltre un ventennio di fastidiosi IVR… ma questa è un’altra storia (dolorosa). L’eredità che ci venne lasciata, nonostante i fallimenti, fu considerevole, basti pensare che molti degli approcci algoritmici sviluppati all’epoca rappresentano le basi dell’attuale tecnologia.

Dopo l’avventura della mia prima startup italiana, decisi di intraprendere progetti più coraggiosi, alimentato dalla fiducia riposta nella tecnologia di poter generare un reale beneficio per la comunità, e, con il presuntuoso intento di trovare sempre estremo piacere nella ricerca di queste soluzioni e nei team che approcciavo.
Quindi ho cominciato collaborazioni con psicologi nel campo dell’Empatia Artificiale, con psicologi e coach nel campo della Talent Definition e Discovery, con insegnanti per quanto concerne l’educazione, con storici per la Resurrezione Digitale.

La mia visione sul futuro di queste tecnologie, forse influenzato dalla mia cultura anni 80/90, è riassumibile nella citazione del creatore di Dilbert (Scott Adams):

Methods for predicting the future: 1) read horoscopes, tea leaves, tarot cards, or crystal balls . . . collectively known as “nutty methods;” 2) put well-researched facts into sophisticated computer… commonly referred to as “a complete waste of time”.

Quello che stiamo vivendo è un momento di alta euforia rispetto ai progressi dell’AI (l’aggettivo altissima, e i suoi sinonimi, dovrebbero essere banditi dai titoli dei giornali, per rispetto all’approccio più strutturato e conservativo degli investitori verso queste tecnologie osservate dal Q3 del 2018).

Secondo alcuni studiosi stiamo rischiando di entrare nel terzo inverno dell’AI, mentre altri dichiarano che il rischio possa essere facilmente scongiurato grazie ad una maggiore diffusione dell’educazione a queste tecnologie, e all’incremento di interesse osservato in governi e manager.

La recente storia dell’AI ha visto un progressivo intensificarsi degli investimenti privati e pubblici, e, al contempo lo sviluppo di politiche pubbliche di gestione dell’AI (educazione, etica, mercati, ecc.)

Oggi i media reiterano una breve serie di domande, che possiamo riassumere nelle seguenti:

  • Ci sarà un nuovo inverno dell’AI visto che l’interesse dei Venture Capital in determinate aree è calato?
  • L’AI ci priverà del lavoro e quindi dobbiamo cominciare a pensare a politiche di Universal Basic Income?
  • Si prospetta una AI-pocalypse?

Per quanto concerne la prima domanda, mi fido dell’analisi di Daniel Faggella nel suo Emerj.com, che indica, per sintetizzare, come possibili deterrenti: la generazione di un mercato di “AI da consumo”, e l’interesse di organizzazioni e governi ad utilizzare l’AI come parte dei propri processi decisionali, spostando il trend sull’AI da università e istituti di ricerca a governi, aziende, e, soprattutto, nei dispositivi che ogni giorno usiamo.

Rispondere alla seconda ed alla terza è maggiormente complesso, ma una scorciatoia possibile è questa: il raggiungimento della fase di AGI (Artificial General Intelligence) e quello di successivo di ASI (Artificial Super Intelligence) sono abbastanza lontani nel tempo, questo ci permetterà di costruire algoritmi più robusti e meno condizionati da bias, e di prepararci alle fasi successive.

Per quanto concerne il problema dell’automazione, beh, credo che tutti ci ricordiamo la ciclicità di queste affermazioni dalla prima rivoluzione industriale. “L’avvento delle macchine e la trasformazione del lavoro” è un tema ricorrente nella storia umana, come lo sono le conseguenti durissime proteste sociali. Fu cosi per la prima rivoluzione industriale che vide la comparsa della macchina a vapore a fine 700, e poi nuovamente quasi novant’anni dopo con l’introduzione di motore e scoppio ed elettricità, per poi culminare nella rivoluzione informatica.

Da parte mia vedo una trasformazione del lavoro, ma non solo in termini di nomadismo o socialstructuring (se non conoscete questo termine, prima di googlarlo, vi invito ad aver pazienza e leggere la risposta alla domanda successiva), ma anche in termini di gestione del lavoratore e dell’inversione di tendenza nel rapporto tra hard skills e soft skills, e vedo un’integrazione dell’AI nella vita di ogni giorno, generando un nuovo rapporto nel binomio uomo-macchina.
Per quanto concerne le previsioni… beh, quelle preferirei lasciarle a giornalisti e futurologi.

Cosa significa per te fare innovazione e cosa pensi della parabola, oggi apparentemente discendente, dello startuppismo tecnologico?

Partiamo dall’ultima parte della domanda, personalmente non credo che si possa parlare di parabola discendente dello startuppismo in generale, né di quello tecnologico.

Come nel caso precedente, la mia formazione scientifica mi impedisce di fare previsioni o fidarmi delle sensazioni o, per restare in tema di parabole, percorrere quella dello startuppismo fino ad abbracciare il sensazionalismo dei media. E, quindi, cominciamo da una analisi dei dati, diffidando da macro-aggregazioni presentati in articoli di qualche riga.
Un buon punto di partenza è l’analisi di StartupUsa che nel suo The Rise of the Global Startup City ha analizzato oltre centomila accordi di finanziamento in oltre trecento aree metropolitane dislocate in sessanta diverse nazioni.
Il report, sfortunatamente per chi ama i titoli d’effetto e i 140/280 caratteri, non offre alcuna scorciatoia all’interpretazione dei dati, ma si limita ad offrire all’utente diversi livelli di aggregazione, e qualche grafico. Esquire, per il pubblico italiano, ha creato una breve guida all’utilizzo del report, spingendosi, a mio avviso, fino alla generazione di una sintesi che potrebbe essere ospitata su un singolo tweet:

In sintesi estrema, i principali cambiamenti avvenuti sono quattro: il volume di investimenti è aumentato a dismisura, sempre più startup hanno sede in centri urbani internazionali, le startup sono concentrate nelle metropoli globali e, soprattutto, questa concentrazione non fa che crescere.

Rimando, quindi, ai lettori la scelta se accontentarsi della sintesi di Esquire, o di accedere direttamente al report e trarre le loro conclusioni.

Ma dove è la tecnologia in tutto questo? Bene, qui nasce il primo problema, ovvero come definiamo la tecnologia? Anche in questo caso, lascio la parola a chi lo fa di mestiere, e mi riferirò alla definizione fornita da Treccani. Vista la lunghezza della definizione (non starebbe in un singolo tweet, rimando al link per i dettagli).

Nella definizione rientrano sicuramente tutte le startup legate alla produzione di software: (AI, BlockChain, AR e parenti, App, e molte altre), all’hardware (IoT, Quantum Computer, droni, visori AR/VR, stampanti 3D), alla bio-tech (Green Tech, CRISP, Gene Editing, Synthetic Food, ecc.), alla medicina, all’esplorazione spaziale, ma anche, citando sempre Treccani (l’ottimizzazione delle procedure), ai nuovi framework di gestione del lavoro (Agile, Rapid Prototyping, U-Theory) ed alla gestione del business (Sharing Economy).

Organizations are a technology, and this technology is being disrupted1

Alla luce di questo primo elenco, non mi sento di parlare di bolla o parabola discendente, ma di una doppia trasformazione: le startup hanno sviluppato metodi di lavoro innovativi, rapidi ed efficienti e hanno acquisito una struttura organizzativa più definita, e questa modalità di lavoro sta contaminando le grandi aziende che si trovano ad imparare metodologie di lavoro che, fino a qualche anno fa, mai avrebbero neppure preso in considerazione.

Un ottimo esempio è la decentralizzazione del lavoro, o il socialstructuring nella definizione di Marina Gorbis:

Creating value by aggregating micro contributions by large networks using social tools and technologies.

Nello stesso speech viene spiegato anche come il ruolo delle grandi organizzazioni, secondo la definizione del premio Nobel per l’economia R. Coase, stia mostrando evidenti limiti, e quindi vada destrutturato e reinventato.

Torniamo ora alla domanda, dopo questa lunghissima parentesi. Per me innovazione tecnologica è riassumibile in due parole: democratizzazione e impatto. Ahimè, confesso che siano piuttosto abusate e male interpretate, ma sono in grado di riassumere quello che dovrebbe essere la finalità dell’innovazione. Nello specifico possiamo pensare alla democratizzazione della formazione e, quindi, alla possibilità offerta ai circa quattro miliardi di persone attualmente collegate ad internet di accedere ad una vasta selezione di contenuti e informazioni. Sicuramente c’è ancora molto da migliorare, i MOOC hanno mostrato i loro limiti in diverse occasioni e con diversi target di riferimento, ma l’innovazione è iniziata.

Se consideriamo le biotecnologie, un recente articolo di SingularityHub ha spiegato come il RIPE project, (University of Illinois) finanziato dalla Bill and Melinda Gates Foundation attraverso l’uso del Gene Editing aumenterebbe i raccolti del 40%. Questo avrà un duplice impatto: la riduzione della domanda di deforestazione per creare aree dedicate all’agricoltura, e la maggiore produzione di cibo per sostenere l’aumento di popolazione del pianeta.

Nel 2013 il primo burger sintetico costò 325.000 dollari, le previsioni per i prossimi 2 anni sono di raggiungere un prezzo (Tyson Foods) di 2.30 dollari a libbra, il che offre non solo la possibilità di sfamare milioni di persone, ma, nel farlo, ci sarà un controllo maggiore delle malattie e una minore pressione sul nostro ecosistema. La stessa cosa si potrebbe dire per le neuroscienze o per lo sviluppo embrionale.

Se vogliamo limitarci alla tecnologia di consumo, finalmente quest’anno vedremo l’apparizione sul mercato di nuovi materiali applicati a TV, smartphone, monitor, ecc. Ovvero i famosi OLED non-rigidi. Stiamo assistendo ad una rinascita della scienza dei materiali guidata dall’elettronica di consumo. Dalla fabbricazione di transistor all’avanguardia nei circuiti integrati nei nostri dispositivi ai touchscreen conduttivi e trasparenti nei nostri telefoni, a questi schermi piatti arrotolabili, la scienza dei materiali all’avanguardia permea ogni aspetto della nostra esperienza. Il prossimo passo saranno ologrammi resi possibili da metamateriali ottici o occhiali da realtà aumentata ad alta risoluzione fatti di ceramiche e polimeri all’avanguardia.

Per chi non fosse soddisfatto di questi esempi, potremmo aggiungere la nuova generazione di Microbot capaci di viaggiare attraverso il corpo umano per raggiungere il target prefissato ed agire localmente.
Questi nanobot trasformeranno il modo in cui pensiamo all’assistenza sanitaria, consentendoci la diagnosi della malattia ed il trattamento in tempo reale.

Come non citare la capacità di sintetizzare vasi sanguigni umani in laboratorio, ogni singolo organo nel nostro corpo è collegato al sistema circolatorio e questa innovazione potrebbe consentire ai ricercatori di svelare le cause e i trattamenti per una varietà di malattie vascolari, dalla malattia di Alzheimer, malattie cardiovascolari, problemi di guarigione delle ferite, ictus, cancro e, naturalmente, diabete.

A questo potremmo aggiungere innovazioni operate da startup nel campo Health & MedTech, delle CleanTech, nel Vertical Farming, nel FinTech, nell’AI e nella sua distribuzione, ed in campi più conservativi quali il Real Estate, Assicurazioni, Banking, Logistica, etc. Questo per citare solo alcuni degli esempi di questo 2018 appena trascorso.

Cosa consiglieresti a un giovane appassionato di tecnologia e innovazione?

Beh, questa è una domanda piuttosto complessa, a dire il vero neppure le altre due erano particolarmente semplici, ma in questa mi chiedi di prendermi la responsabilità di dare dei consigli a qualcuno che non conosco e con il quale non ho avuto occasione di scambiare idee.

Potrei consigliare di connettersi a persone che siano in grado di ispirarlo/a, per trovare nuovi stimoli e organizzare le proprie idee e passioni in un progetto. Ci sono diversi network di persone estremamente preparate e disponibili, persone interessate maggiormente alla costruzione di un ecosistema che al proprio ego-sistema. Assistiamo ogni giorno alla nascita di comunità con centinaia e migliaia di professionisti disposti a dedicare del tempo a giovani appassionati, ad ascoltarli ed anche, spesso, ad invitarli a collaborare a progetti esistenti.

Gli vorrei, altresì, consigliare di evitare persone con titoli altisonanti nel profilo LinkedIn, la maggior parte di quelli che si fanno chiamare influencers. Ignorare anche i professionisti con agende troppo piene: chiedetegli una call di trenta minuti, se ve la rifiuta o vi dice che non sarebbe possibile prima di tre settimane: scappate via, cancellatelo dalla lista contatti, cancellate la cronologia di navigazione, e dimenticatevi di quella persona. Fate lo stesso con coloro che non sono disposti a lasciare un contatto diretto.

Analogamente vorrei consigliare di ignorare i post motivazionali con istruzioni per rendersi una persona produttiva in soli 10 passi/giorni/abitudini. Se proprio sentiste la necessità di guardare un video per ispirarvi, forse, potrei provare a consigliare 100 days of rejection, ma solo se siete disposti a fare almeno 1/10 del percorso indicato nel video.

Mi piacerebbe fornire un semplice e compiacente: “seguite i vostri sogni, non arrendetevi davanti ad una porta chiusa, coltivate le vostre passioni”, ma, nel momento stesso in cui l’ho scritto, mi sono sentito parte della categoria precedente.

Ma, forse, rileggendomi, credo che gli direi soltanto di sviluppare un’attitudine basata sulla collaborazione e sulla co-creazione, e di saltare questa domanda, visto che mai gli consiglierei di leggere i suggerimenti di una persona che non ha investito il proprio tempo ad ascoltarlo.

  1. Disruptive Technologies Barometer Tech Report

2 risposte

  1. Avatar Milad Boroumand
    Milad Boroumand

    Wow, That was great, influential and persuade me to have worked harder than the past in some of my projects. You are really a creative person, together with, greatness idea, Congratulation to you. In the final part, you shed the light on my previous goals, Thanks Dear Fabrizio for sharing your knowledge and experience with your followers.

  2. Avatar Fabrizio Gramuglio
    Fabrizio Gramuglio

    Thank you, Milad! It’s my pleasure to get in contact with so brilliant minds as your one

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