Fabrizio è una delle persone che stimo di più sia professionalmente sia per l’amicizia che ci lega da decenni, una delle rare persone veramente geniali che io conosca. Oggi si occupa di innovazione e sviluppo di talenti oltre ad essere imprenditore ed esperto di interfacce vocali e multimodali e intelligenza artificiale.
La stupidità naturale dell’intelligenza artificiale
Ciò che sta capitando in questi anni di hype sull’intelligenza artificiale, la singolarità ecc. – nella cornice spesso ridicola dello startuppismo estremo – è che semplificazioni imbarazzanti o, peggio, concezioni errate del funzionamento della cognizione umana sono usate per antropomorfizzare, e quindi rendere commercialmente più cool, una serie di approcci e tecnologie che sono molto utili, ma di certo non intelligenti.
Artificial empathy, terza parte
Gli agenti intelligenti – oggi – sono protesi digitali e/o fisiche dell’uomo che migliorano l’esperienza di un servizio o di un bene e, potenzialmente, la qualità della vita. Non c’è coscienza o emozione in questi artefatti.
Artificial empathy, seconda parte
Associare con troppa leggerezza le parole intelligenza, emozione e artificiale è tornato di moda negli ultimi anni. I pericoli di questa tendenza sono da un lato la banalizzazione della complessità e dall’altro l’antropomorfizzazione, per questo è necessario chiarire sempre quali assunti teorici sono alla base dei nostri progetti.
Artificial empathy, prima parte
Quali sono gli assunti teorici che stanno alla base di un modello del funzionamento delle emozioni o, per esempio, della coscienza? La prospettiva del senso comune, l’approccio evoluzionistico, la prospettiva neurofisiologica, le diverse teorie psicologiche, quale di questi approcci è quello “giusto”?